La tessitura come pratica di connessione e scoperta di sé e del mondo.
Amparo T., colombiana , vive in Italia dal 1991, emigra assieme al suo sposo e alla sua prima figlia. I genitori di Amparo sono originari della Zona Cafetera. La madre ha radici spagnole, suo nonno era un marinaio che veniva dalla Spagna e quando approdò in Colombia s’innamorò di quella terra.
Fin da bambina ha osservato sua madre e sua nonna lavorare la maglia e l’uncinetto, le piacevano molto quei lavori seppur non ne fosse così attratta: si ricorda dei movimenti delle mani delle donne della sua famiglia. Era tradizione che la donna si occupasse della casa, le piante, i fiori, i lavori manuali, una tradizione molto creativa.
Amparo a Bogot nella prima parte della sua vita studiò quello che non le piaceva. Lei avrebbe voluto studiare botanica, ma per diversi motivi la indussero a studiare e diplomarsi in giurisprudenza. Alla fine del suo percorso universitario conosce colui che poi sarà il suo compagno di vita e sposo, un pittore con il quale decise di andare a convivere in un quartiere molto alternativo e creativo di Bogotà: la Candelaria.
Amparo per diverso tempo fece da modella per il suo compagno. Proprio in quel periodo iniziò ad avvicinarsi all’arte della tessitura attraverso la maglia: “Da sola con me stessa, con la vita che mi apparteneva”, si disse “ È arrivato il momento!”.
Un giorno andò da sua madre a chiederle di insegnarle, ma lei non la incentivò su quella strada. Allora iniziò a fare da sola, ricordandosi un po’ l’uncinetto che le aveva trasmesso sua nonna, ma non era attratta dall’uncinetto, così iniziò a lavorare i ferri e tentò di fare un maglione. Era talmente presa dal lavorare la maglia che non faceva altro tutto il giorno, ma non sapeva come andare avanti per finire questo maglione poiché non sapeva fare le maniche. Una notte mentre dormiva nel sogno le apparve il modo di fare la manica del maglione. Fu un qualcosa di grandioso perché: “Ho capito che c’è qualcosa dentro noi esseri umani che ci rivela qualunque cosa noi vogliamo sapere”. Così intuì come finire il suo primo maglione con le trecce. Questo fu il suo primo contatto con la tessitura.
Durante l’università lavorava in un luogo dove vendevano mobili e arredo, tra cui delle tende fatte al telaio e conobbe la ragazza che le aveva tessute. Ne rimase molto colpita e comprese sempre meglio che il suo desiderio era tessere al telaio arazzi.
Decise assieme al compagno di fare un viaggio nella sierra di Santa Marta e in questo luogo nasce un seme dentro Amparo.
Da Santa Marta ,che è situata sulla costa, si addentrarono nella foresta fino a quasi 3000 metri in cui incontrarono la tribù Kogi, della cultura tairona. Raggiunsero dei loro amici che avevano vissuto per circa tre mesi sulla spiaggia. Solo conoscendo qualcuno del luogo era possibile addentrarsi in quella foresta.
Questi amici italiani che avevano vissuto in quei luoghi lasciarono loro la mappa per raggiungere la foresta tairona. Per circa un mese rimasero a vivere lì aspettando e sperando di conoscere qualcuno che gli facesse da guida e da lasciapassare per addentrarsi, ma non incontrando nessuno. Decisero così di spostarsi da Santa Marta verso la costa, e solo quando ritornarono a Santa Marta conobbero finalmente Carlos, un uomo che viveva vicino alla tribù Kogi e che gli avrebbe poi fatto da guida per avvicinarsi al villaggio.
Così Amparo e il suo compagno partirono all’alba, era la stagione delle piogge, attraversando poderi e cercando di arrivare in tempo prima che iniziasse a piovere fortemente in mezzo alla foresta. Carlos li mise in contatto con due persone, le quali arrivarono accompagnate da un mulo e da una vacca che caricavano sacchi di sale, legumi e qualche oggetto come taniche, provviste da portare agli abitanti. Presentarono Amparo e il suo compagno, William, ai guardiani del luogo, dai quali rimasero a dormire. Proprio in quel punto finiva la civiltà ed iniziava la montagna, la terra indigena, dove non vi erano sentieri.
L’incontro con i Kogi e la tessitura
Durante questo cammino verso la comunità, Amparo e William portavano con loro sacchi pesanti di fagioli e riso e chiesero a queste due persone se potevano essere aiutati a portarli dal momento che loro erano accompagnati da una vacca e un mulo, ma gli dissero di no, l’insegnamento fu che ognuno porta il proprio.
Dopo due giorni di cammino giunsero sulle sponde di un fiume dove vivevano delle persone in quella che si chiamava “casa Maria”, ovvero “la casa di tutti”. Al centro c’era un mulino (trapiche) per elaborare la canna da zucchero e inoltre si dedicavano a fare piccole coltivazioni per l’auto – sussistenza. Si dormiva nei cinchorros, una sorta di amache.
Le due persone che li avevano guidati fino a questo luogo non rimasero lì, ma proseguirono ancora più in su, vicino alla “città perduta”, zona archeologica molto bella, dove vivevano altre persone, non indigene.
Amparo e William rimasero a vivere lì per un mese durante il quale ebbero incontri con i Kogi solo mediati da chi viveva già lì, mai in modo diretto. Nonostante questo Amparo ebbe modo di osservarli e scoprire che le donne camminavano tessendo, con un ago tessevano borse. Quando si recavano nelle campagne attorno osservò che gli uomini invece tessevano attraverso un semplice telaio composto da due bastoni di legno e l’ordito i loro vestiti bianchi con qualche riga marrone. Tutti i Kogi tessono, gli uomini i propri vestiti e le donne delle borse coloratissime, las mocillas. Le borse grandi per trasportare cibo erano tessute attraverso il filo di agave, che è molto resistente.
Quando vide questa tessitura le sembrò la cosa più bella del mondo. I kogi chiesero loro di vivere lì , ma Amparo decise di rientrare a Bogotà assieme al suo compagno e prima del rientro conobbe questa donna francese che viveva lì assieme al suo piccolo bimbo e al suo compagno pittore. La colpì perché quella donna le risvegliò il desiderio di fare dei figli, la sua immagine così selvatica e aperta le suscitò un desiderio profondo di maternità: ”Mi ha aperto il cuore, l’amore, l’istinto materno. Ho sentito che avevo delle paure a rimanere lì, non era il momento di rimanere. Il primo giorno che giungemmo in questo luogo, ricordo, che eravamo molto sicuri di noi stessi, ma la foresta mi ha insegnato ad andare con calma, a camminare passo dopo passo.”
Quando rientrarono a Bogotà, Amparo e William sentirono che questa esperienza li aveva uniti profondamente e così decisero di andare a vivere insieme. Amparo decise di frequentare un corso di tre mesi per imparare la tessitura al telaio, e riuscì a creare sciarpe e cinture. Il cammino nella tessitura fu molto lento.
Amparo cominciò a tessere, ma stavolta su un telaio grande appoggiato alla parete, che il suo compagno le costruì, da cui uscì fuori il suo primo arazzo. Questa è stata la sua prima espressione creativa: “Intrecciavo fili di lana, di diverso colore e spessore, seguivo il mio sentire e basta”.
Arrivando qui in Italia sentì di portarsi dentro la passione per il telaio e così si avvicinò ad un’associazione attraverso cui realizzò il suo desiderio di insegnare a tessere al telaio. Erano un gruppo di donne che volevano creare dei progetti, e poiché la cosa che le stava più a cuore era il telaio, propose di fare un corso per insegnarlo.
Cos’è il telaio per Amparo?
Amparo mi racconta cosa è per lei il telaio: “Per me sono i fili che mi collegano con il tutto, il cosmo. È il senso della vita in questo pianeta e il telaio è la mia scuola, devo tessere per fare esperienza. Perché mentre tesso lavoro le mie emozioni, perché le emozioni non sono proprie ma vengono dall’esterno , e così cerco di lavorarle , trasformarle, di vederle da un punto di vista più oggettivo.
Il desiderio di insegnare a tessere al telaio c’è, perché è la forma in cui tu puoi stare più vicina a te stessa e per me riuscire a fare qualcosa con le mani mi dà un sentimento di utilità in questa vita, di sentirmi che sono capace di costruire una cosa con le mie mani.”
Le prime persone a cui pensò di insegnare la tessitura furono i bambini e le donne. Con le donne però ci furono troppi problemi, perché le donne che incontrava nel centro che ospitava l’associazione erano donne straniere che venivano già dalla tradizione del tappeto e del telaio, mentre le donne italiane non avevano questo interesse.
Così iniziò a fare corsi all’interno delle scuole primarie e secondarie. Ricorda che: “Arrivata in Italia, in realtà, incontrai molte mie resistenze a tornare a tessere, tessevo nella mia mente e nel mio cuore.”
Riuscì ad avvicinarsi nuovamente al telaio affiancando una donna tessitrice italiana. Ma dentro ad Amparo rimase acceso il desiderio di fare un laboratorio di tessitura per donne.
Un bel giorno stringe amicizia con una giovane vicina di casa, artista e artigiana e insieme piano piano realizzarono il loro primo laboratorio per donne. Attraverso questo progetto Amparo capì che nelle sue tessiture lascia dei simboli, è il mezzo attraverso cui scrivere: “Lavorare il telaio non è solo un artigianato ma anche un’arte. Il tessere non è da fare da sola, ma è un lavorare insieme alla donne, condivisione e scambio. Anche se ho tessuto e tesso da sola”.
Ora in questo momento della sua vita racconta: “Quando tesso cerco di mantenere la mente ferma, non pensare, ma sentire. È molto difficile ma il mio obiettivo è quello. Sentire la vita tessendo, cercando di incontrarmi con gli atri sensi. Mi piace il suono dei fili tra le dita. Quest’ultima creazione l’ho iniziata senza un progetto, un’idea, ho iniziato con il colore arancione che mi dà molta energia, piano piano ho aggiunto il rosso, e poi ho pensato che potevo interrompere questi colori e poi riprenderli. Il sole è arrivato dopo. Solo alla fine ho capito la mia idea: come in basso così in alto, come in alto così in basso. In una cellula c’è tutta la vita, come nel cosmo, l’uno è contenuto nell’altro. Partire dal basso attraversare tutti gli stadi fino ad arrivare all’alba. Dal tramonto all’alba.”
