Riflessione sul ricordo di sé.
Quante volte in un giorno vi fermate ad ascoltarvi? No, non ad ascoltare la famosa vocina interiore di cui tutti parlano e che altro non è che il vostro ego che vi tortura giorno – e notte – cercando di manipolarvi.
Quante volte in un giorno vi ricordate di voi? Direte, sempre siamo qui, che domanda è? E invece è proprio nella domanda che c’è la chiave della risposta. Anche ora, ora che vi state chiedendo perché vi chiedo se vi ricordiate di voi, vi state davvero ricordando di voi? Vi state ascoltando? Com’è il vostro respiro? E le sensazioni del corpo? Com’è la luce nella stanza in cui state leggendo? E quella esterna? Dove siete? Come siete? Chi siete?
Ho passato una vita a lottare. No, non quella lotta bella, forte, mirata ai propri obiettivi (ma poi questi obiettivi di chi sono davvero?), ma a lottare perché mi hanno insegnato ad avere paura. Fin dal grembo di mia madre – che aveva paura p – io ho mangiato mondo e ansia. E mio padre mi ha insegnato che la fragilità – che fa paura – si tramuta in rabbia. E questo imprinting non se ne va solo con lo yoga e con la respirazione. Quest’ansia non se ne va nemmeno con anni di terapia (dove però l’essere paziente è una grande indicazione di amor proprio) ma deve e può diventare un’amica.
Un’amica da osservare e ascoltare davvero. Come non fosse vostra, perché non è vostra.
Ascoltarla come si dovrebbe ascoltare chiunque parli, lasciandole il tempo di dire tutto e poi fermarsi e chiederle: perché dici questo? Da dove arrivano le cose che stai dicendo? Sono tue?
Lo stesso varrebbe per voi, ma torniamo al punto uno: quante volte vi fermate ad essere voi stessi?
La propria ombra
Piano piano mi sono resa conto che tantissime delle lotte che stavo conducendo: lottare per degli obiettivi – che di obiettivo non avevano nulla -, lottare per essere amata senza amarmi, lottare per essere una versione differente da quella che sono… erano solo figlie di paura e ansia, ma paura e ansia non erano mie.
Perché se mi fermo anche solo UNA volta al giorno per stare con me, accogliendo tutto ciò che sono, mi rendo conto che in me non c’è niente di tutto quello che si manifesta quando non sono in totale connessione. Non c’è l’ansia per il presente, non c’è la paura per il futuro, non c’è il rimuginare sul passato, non c’è il giudice inflessibile, non c’è la figlia, l’amante, la donna che tutti si aspettano che io sia. Al massimo concedo alla me bambina di far capolino e farsi delle grandi risate, perché lei, lei sì che avrei dovuto ascoltarla quando era il momento e ora posso prenderla per mano e abbracciarla.
Quante volte vi ricordate di voi in un giorno? Quante volte vi chiedete se quello che state pensando, dicendo, vivendo, guardando, scrollando, toccando sia vostro?
Fatelo almeno una volta al giorno e poi raccontatemi cosa avete provato.
Io ho scoperto che il mio mondo è un mondo calmo, accogliente e morbido. Come la neve inaspettata di un giorno di febbraio, che ci ricorda che è ancora inverno, anche se l’inverno quest’anno è sembrato una primavera. L’inverno si è fermato a pensare a se stesso e si è ricordato di manifestarsi?
NB: quanto raccontato è una riflessione sul ricordo di sé, non un attacco alle terapie citate, che sono anzi grandi alleate. Ma quando arriva quel momento, quel preciso momento (ognuno di voi ha il proprio) di fianco a voi non c’è il terapeuta o l’insegnante di yoga. Ci siete voi. Solo voi. Chissà che ricordare anche questo non permetta di ricordarci di più di noi stessi, di amarci per come siamo e di integrare davvero la nostra ombra.
Se vi interessa scoprire di più su di voi e sul vostro vero Sé chiedete ad Amanda una sessione di ALMA, o di partecipare ad uno dei prossimi viaggi (come il Vuoto ad esempio), o di definire un percorso personale. Se vi interessa invece l’argomento a livello teorico leggete chi ne sa più di me.